Come i grassi influenzano il COVID-19

Come i grassi influenzano il COVID-19

Nonostante il fatto che milioni di persone in tutto il mondo siano esposte al virus della sindrome respiratoria acuta grave (SARS-CoV-2), solo alcuni vengono infettati, di cui pochi sviluppano la malattia COVID-19 e tra questi solo alcuni sviluppano una malattia grave che richiede ospedalizzazione, ossigenoterapia e intervento ventilatorio.

Cosa distingue le diverse risposte?

Il ruolo potenziale dei lipidi bioattivi in COVID-19.

I lipidi bioattivi, come l’acido arachidonico, l’acido eicosapentaenoico e l’acido docosaesaenoico e i loro metaboliti, possono in effetti avere un ruolo significativo nella malattia da COVID-19.

L’acido arachidonico – AA è un acido grasso polinsaturo, ampiamente diffuso in natura e può essere assunto attraverso gli alimenti – in particolare quelli animali (uova, pesce e carne) – o sintetizzato dall’organismo a partire dall’acido linoleico contenuto nell’olio di semi.

L’acido eicosapentaenoico – EPA è un acido grasso essenziale polinsaturo, appartenente alla famiglia degli omega-tre. Questo nutriente viene accumulato nelle carni dei pesci che si nutrono di fitoplancton; ne sono particolarmente ricche le carni dei pesci grassi che popolano acque marine fredde, come il merluzzo, il salmone, il tonno e lo sgombro, ma anche aringhe, sardine e pesce azzurro in genere.

L’acido docosaesaenoico – DHA è un acido grasso semiessenziale della serie omega tre; è presente in discrete quantità nel pesce, in modo particolare nel salmone, nello sgombro, nelle sardine, nelle aringhe, nel tonno e nelle alici (pesce azzurro). Ancor più rappresentato nell’olio ricavato da questi animali, il DHA si trova in buone quantità anche in alcune microalghe di cui, non a caso, i pesci si nutrono. Al di fuori di questi cibi, le fonti alimentari di DHA sono particolarmente scarse; lo troviamo in piccole quantità nella carne, specie se l’animale è stato alimentato con farine di pesce o semi di lino (in questo caso è presente anche nelle uova degli ovipari, come la gallina).

Questo ruolo si basa sull’osservazione che l’acido arachidonico e gli altri lipidi bioattivi:

  1. possono inattivare virus con involucro e altre specie di coronavirus;
  2. hanno la capacità di facilitare la generazione di macrofagi (che nelle risposte immunitarie distruggono le particelle estranee, compresi i microrganismi);
  3. possono sopprimere la produzione di IL-6, TNF-α e altre citochine pro-infiammatorie e migliorare la formazione di IL-10;
  4. hanno azioni citoprotettive e, quindi, proteggono le cellule normali dalle tossine sia endogene che esogene, compresi i virus;
  5. hanno effetto vasodilatatore, anti-aggregatore piastrinico e sopprimono l’attivazione dei leucociti, l’aderenza e la loro capacità di rilasciare i radicali liberi;
  6. risolvono l’infiammazione e migliorano la guarigione delle ferite.

Pertanto, la disponibilità, la formazione e il rilascio di quantità appropriate dell’acido arachidonico e degli altri lipidi bioattivi e il mantenimento di un equilibrio tra lipidi bioattivi pro e antinfiammatori, dovrebbero essere di beneficio nella prevenzione e nel miglioramento del COVID-19. Una carenza quindi può aumentare la suscettibilità di un individuo all’infezione da SARS-CoV-2 e la somministrazione di questi acidi grassi può migliorare il processo di recupero.

Il grasso viscerale peggiora il COVID-19

I soggetti obesi con malattia da COVID-19 sono maggiormente a rischio di ricovero in terapia intensiva, suggerendo che il grasso corporeo in eccesso si associ a una maggiore gravità della malattia. La distribuzione del grasso addominale caratterizzata da un aumento del grasso viscerale, aumenta infatti il rischio di ricovero in terapia intensiva per COVID-19, indipendentemente dall’IMC.

Il diabete, l’obesità e l’ipertensione hanno, come denominatori comuni minori, un’infiammazione cronica di basso grado. L’adiposità viscerale è associata a infiammazione locale e sistemica, caratterizzata da una maggiore produzione di citochine proinfiammatorie come l’IL-6 e TNF-α, che aumentano nella COVID-19.

L’ipotesi è che il grasso viscerale, può rilasciare livelli da due a tre volte più alti di interleuchina-6 e chemochine rispetto al tessuto adiposo sottocutaneo e, questo favorisce un ambiente pro-infiammatorio che promuove l’iperinfiammazione, rendendo più grave la malattia. In alternativa, l’infezione da SARS-CoV-2 potrebbe anche aumentare l’infiammazione del grasso viscerale.

Covid-19: vitamina D riduce il rischio di morte

Anche la vitamina D, come i grassi bioattivi e il grasso viscerale, gioca un ruolo fondamentale nella malattia da COVID-19. Avere infatti buoni livelli di questa vitamina nel sangue, pari a 30 nanogrammi per millilitro di plasma, protegge da complicanze e riduce il rischio di morte per Covid-19 del 55%. La scoperta arriva da uno studio condotto presso la Boston University School of Medicine e pubblicato sulla rivista Plos One.

Nei mesi scorsi, studi di popolazione avevano indotto ad avanzare l’ipotesi dell’azione protettiva della vitamina D contro complicanze tipiche del Covid, dalla perdita di conoscenza all’ipossia, dall’eccesso di infiammazione ad alterazioni della risposta immunitaria fino anche al rischio di morte. Ma in questo lavoro per la prima volta è stato direttamente confrontato l’esito clinico di pazienti ricoverati per Covid che presentavano deficit di vitamina D al momento dell’ospedalizzazione con l’esito di pazienti simili ma senza carenza vitaminica. È emerso che questi ultimi avevano meno probabilità di ipossia e perdita di conoscenza, meno infiammazione e più linfociti; avevano inoltre un rischio di morte inferiore del 55%.

L’autore del lavoro, in un precedente studio, aveva già dimostrato che livelli adeguati di vitamina D nel sangue riducono del 54% il rischio di infettarsi con il Sars-CoV-2. Avere un buon livello plasmatico di vitamina D riduce quindi le complicanze del covid.

Sarebbe opportuno, soprattutto nei mesi invernali, evitare la carenza di vitamina D o anche una lieve insufficienza.

Possiamo accumulare vitamina D attraverso:

  1. la pelle, con l’esposizione solare
  2. attraverso la dieta dove la ritroviamo nell’olio di fegato di merluzzo, nei pesci grassi, in particolare sgombro, aringa, tonno, carpa, anguilla, pesce gatto e salmone, nelle ostriche e gamberi, nei formaggi grassi, nel burro, nel tuorlo d’uovo, nei funghi (unica fonte vegetale di vitamina D), nella carne di fegato.
  3. con l’utilizzo di integratori.

La vitamina D è una vitamina liposolubile, questo vuol dire che per essere assorbita dall’organismo, ha bisogno di essere veicolata da un grasso. Aggiungere dell’olio extravergine ai vostri pasti non è del tutto sbagliato e ogni tanto, un velo di burro su del pane tostato, con uno uovo cotto in camicia o del salmone, mangiatelo. Non abbiate paura dei grassi giusti, preoccupatevi invece degli zuccheri in eccesso che vengono introdotti con l’alimentazione, quelli tra l’altro sono tra i principali responsabili dell’aumento del grasso viscerale.

 

Fonte: 

http://www.obesita.it/html/approfondimenti/it/il_grasso_viscerale_aggrava_il_covid.asp

http://dsmedica.info/html/news/arachidonico-contro-covid.asp

http://www.nutrieprevieni.it/covid-19-vitamina-d-riduce-rischio-di-morte-del-55-ID19899

https://www.ilgiornaledelcibo.it/vitamina-d-alimenti/

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